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03/04/20

Il contagio

L’idea del contagio apre nella mente umana dimensioni antiche e profondissime: fantasie di sterminio, annientamento, castigo, colpa e minaccia: declinazioni, tutte, dell’angoscia di morte.

La morte è una questione di tutto il vivente, l’angoscia di morte è un tema dell’umano, implica la paura di morire, ma non coincide del tutto con quest’ultima.

È una forma del contatto con l’esistenza e, in particolare, del contatto con la natura incontrovertibilmente mortale dell’esistenza corporea.

Un contatto inevitabile per ogni essere umano, eppure, così controverso da richiedere un lavorio, un adattamento, una strategia della psiche.

È proprio a contatto con l’idea di morte che la mente produce quelle espressioni che umanizzano la vita: cercare significato, dare valore all’insostituibile, ricordare, tramandare, trasformare, trascendere il reale.

L’angoscia di morte, quando ha a che fare con la contingenza reale della morte, produce nella mente operazioni particolari: allora la minaccia interna diventa esterna, i fantasmi angosciosi interioriinaccessibili e ingovernabili diventano oggetti reali, manipolabili.

Si vede bene nella soluzione ipocondriaca, in cui la vera ricerca del soggetto è quella della prova reale del male, della condanna, avvertita solo come “previsione di morte”.

E allora il contagio è il contatto reale (dal latino contingĕre: toccare) con la morte.

È la trasmissione sul piano reale, e, ad opera di un altro, della minaccia alla vita.

Ecco che la fuga, l’accaparramento, la caccia all’untore, sono gli effetti diretti della minaccia di morte e non rispondono ad un piano di contingenza reale, ma alla sopravvivenza psichica.

Su questo sfondo il contatto con l’altro si apre al rischio, al sospetto, al pericolo di essere contaminato, invaso, distrutto.

Dobbiamo allora proteggerci dal virus, e questo è fondamentale sul piano della contingenza, ma dobbiamo anche poter rimanere in contatto con le angosce interne, con le angosce sociali, saperci proteggere dall’antica tentazione di usare oggetti reali e manipolabili per controllare oggetti angosciosi interni e ingovernabili.

“Col tempo, mi sono accorto che anche i migliori d’altri non potevano fare a meno di uccidere o lasciar uccidere: era nella logica in cui vivevano, e noi non possiamo fare un gesto in questo mondo senza rischiare di far morire. Sì, ho continuato ad aver vergogna e ho capito questo, che tutti eravamo nella peste; e ho perduto la pace. Ancora oggi la cerco, tentando di capire tutti e di non essere il nemico mortale di nessuno” (A. Camus, 1947, La peste, GallimardParigi)

Fabiana Corica

Letto 2940 volte Ultima modifica il Venerdì, 03 Aprile 2020 12:53
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